VEGLIA 28 maggio 2016
“ERO NUDO E MI AVETE VESTITO… RIVESTITI DA DIO”
INTRODUZIONE
Accogliamo Gesù con cuore lieto e festante. Con quella gioia che è festa, che è lode, che è meditazione. Domani il Corpo di Cristo passerà per le nostre strade, busserà alle nostre porte. Come sempre è Lui che viene e ci cerca… sta a noi aprire e accoglierLo, sta a noi amarLo con tutto noi stessi.
Scendi Gesù questa sera su questo altare, passa per le nostre strade, guarisci, rasserena. Noi Ti accoglieremo, noi Ti loderemo e canteremo la nostra gioia, il nostro timore, il nostro amore verso di Te. Risponderemo alla Tua chiamata e il nostro impegno di gioia non sarà soltanto domani, ma ogni giorno della nostra vita perché ogni giorno Tu passi, Tu bussi.
CANTO esposizione: Verbum Panis
Grazie Gesù. Grazie perché tu non forzi mai la porta, ma aspetti che un Tuo figlio socchiuda appena un po’ la porta del suo cuore, per riversare tante grazie. Grazie perché sei un Dio che non ha paura o ribrezzo della debolezza, della miseria dell’uomo: anche in questo momento Tu Ti doni a noi sull’altare. Non meritiamo la grazia della Tua presenza viva, non meritiamo nulla di ciò che abbiamo ricevuto. Spesso noi al Tuo bussare diventiamo sordi. Diventiamo cechi di fronte al bisogno del nostro fratello, non ricordiamo che nel fratello ci sei Tu. Perdonaci Signore per tutte le volte che il nostro cuore è stato di pietra. Perdonaci per tutte le volte che non ci siamo lasciati riempire di Te. Perché Tu quando vieni non vieni mai a mani vuote. Quando Tu nel nostro fratello ci chiedi un po’ di cibo e una bevanda è perché ci vuoi donare il vero Cibo e la vera Bevanda. Quando ci chiedi un po’ di ristoro è perché ci vuoi donare la Tua Pace. Quando ci chiedi un vestito, qualcosa per coprirsi è perché ci vuoi rivestire di Te. Quando ci chiedi una visita è perché ci vuoi donare la forza per essere testimoni responsabili e gioiosi per l’Annuncio.
Stasera ci dai la grazia di stare con noi, domani camminerai per le nostre strade passo passo con noi. Ma questa grazia di avere Te come cibo di Vita nuova, come nostro Preziosissimo Sostentamento quotidiano non è solo per noi, dobbiamo condividerla con i nostri fratelli. Tu spezzi il pane e lo condividi con i tuoi. Domani sentiremo dal Vangelo di Luca che Tu ci dici: «Voi stessi date loro da mangiare». Ci richiami all’azione, alla carità fervente e operante, non una carità che sonnecchia. Ma dove la troviamo una carità così? Solo in Te, durante la S Messa. Poche volte veniamo a riceverTi con l’atteggiamento di lode, di timore che Ti spetta. Aiutaci Signore ogni giorno a imparare come accoglierti nel nostro cuore durante la S. Messa, perché è proprio in quel momento che riceviamo tutto, che diventiamo tempio di Dio. Tu ci rivesti di Te. Lasciamoci rivestire da Dio dunque. Non sprechiamo questo dono immenso!
(Pausa)
(Dal Decenario allo Spirito Santo)
“O Divino Spirito Santo, Bontà Somma e carità ardente; fin dall’eternità hai desiderato ardentemente dare l’esistenza a esseri ai quali poter comunicare la tua gioia e la tua bellezza, la tua ricchezza e la tua gloria. E l’hai realizzato con il potere immenso che tu, Dio, hai, creando gli esseri che avevi tanto desiderati.
E come hanno corrisposto quelle tue creature che la tua infinita bontà volle tanto innalzare, privilegiare e ornare di doni?”
Spirito Santo non guardare alla nostra povertà e infedeltà, guarda invece il nostro anelare a Te, scendi, scendi su di noi.
CANTO: Spirito Santo
ROSARIO
Con la gioia nel cuore abbiamo il grande desiderio di lodarTi e adorarTi, vogliamo preparare noi stessi alla grande festa di domani:
CANTICO: Ogni creatura lodi il Signore (Cantico Dn 3, 57-88. 56)
Benedite, opere tutte del Signore, il Signore
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, angeli del Signore, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
[…]
Benedite, figli dell'uomo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedica Israele il Signore,
lo lodi e lo esalti nei secoli.
[…]
Benedite, spiriti e anime dei giusti, il Signore,
Benedite, pii e umili di cuore, il Signore,
Benedite, Anania, Azaria e Misaele, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli,
Benediciamo il Padre e il Figlio con lo Spirito Santo,
lodiamolo ed esaltiamolo nei secoli.
Benedetto sei tu, Signore, nel firmamento del cielo,
degno di lode e di gloria nei secoli.
CANTO: Sono qui a lodarti
Gesù, stasera qui davanti a Te ci sentiamo piccoli e deboli, vediamo il nostro nulla, la nostra pochezza. Eppure Tu sei lì in quel pezzo di pane, sei venuto a salvarci, “sei venuto tra i tuoi, ma i tuoi non ti hanno accolto. A quanti però ti hanno accolto hai dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,11). E noi vogliamo accoglierTi nel nostro cuore, darTi il primato nella nostra vita perché Tu possa vivere in noi, con noi e attraverso di noi.
Ascoltiamo alcune parole dell’omelia pronunciata da Benedetto XVI in occasione della festa del Corpus Domini:
“Questa sera vorrei meditare su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. È importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.
Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare. Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.”
Gesù è con noi sempre, non solo quando partecipiamo alla Santa Messa durante la quale il pane e il vino diventano il Suo Corpo e il Suo Sangue.
Leggiamo all’articolo 3 del Catechismo della Chiesa Cattolica: l'Eucaristia è il compendio e la somma della nostra fede: «Il nostro modo di pensare è conforme all'Eucaristia, e l'Eucaristia, a sua volta, si accorda con il nostro modo di pensare». «Il nostro Salvatore nell'ultima Cena, la notte in cui veniva tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, col quale perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e risurrezione: sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima viene ricolmata di grazia e viene dato il pegno della gloria futura». Secondo la Sacra Scrittura, il memoriale non è soltanto il ricordo degli avvenimenti del passato, ma la proclamazione delle meraviglie che Dio ha compiuto per gli uomini. Nella celebrazione liturgica di questi eventi, essi diventano in certo modo presenti e attuali. Quando la Chiesa celebra l'Eucaristia, fa memoria della pasqua di Cristo, e questa diviene presente: il sacrificio che Cristo ha offerto una volta per tutte sulla croce rimane sempre attuale: «Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale "Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato" (1 Cor 5,7), viene celebrato sull'altare, si effettua l'opera della nostra redenzione».
Nell'Eucaristia Cristo dona lo stesso corpo che ha consegnato per noi sulla croce, lo stesso sangue che egli ha «versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,28).
«Che in questo sacramento sia presente il vero Corpo e il vero Sangue di Cristo, come dice san Tommaso, "non si può apprendere coi sensi, ma con la sola fede, la quale si appoggia all'autorità di Dio. Per questo, commentando il passo di san Luca 22,19: Questo è il mio Corpo che viene dato per voi, san Cirillo dice: Non mettere in dubbio se questo sia vero, ma piuttosto accetta con fede le parole del Salvatore: perché essendo egli la verità, non mentisce"».
Noi crediamo Signore, crediamo che Tu sei qui, vivo e presente, vogliamo adorarTi e vogliamo professare la nostra fede con questa preghiera:
« Adoro te devote, latens Deitas...
Ti adoro con devozione, o Dio che ti nascondi,
che sotto queste figure veramente ti celi:
a te il mio cuore si sottomette interamente,
poiché, nel contemplarti, viene meno.
La vista, il tatto e il gusto si ingannano a tuo riguardo,
soltanto alla parola si crede con sicurezza.
Credo tutto ciò che disse il Figlio di Dio:
nulla è più vero della sua parola di verità ».
Prosegue Benedetto XVI:
“È sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. È proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia. Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.
Adesso, in adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. È evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso. Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).
CANTO: in Te
Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. È vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. La Lettera agli Ebrei ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito. Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.
Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni. Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita la processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale del nostro paese risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso.
Gesù diede questo comando con le parole, riprese da San Paolo: «Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24.25).
Dice Papa Francesco nell’omelia della solennità del Corpus Domini:
«Fate questo in memoria di me» (1 Cor 11,24.25).
“Per due volte l’apostolo Paolo, scrivendo alla comunità di Corinto, riporta questo comando di Gesù nel racconto dell’istituzione dell’Eucaristia. E’ la testimonianza più antica sulle parole di Cristo nell’Ultima Cena.
«Fate questo». Cioè prendete il pane, rendete grazie e spezzatelo; prendete il calice, rendete grazie e distribuitelo. Gesù comanda di ripetere il gesto con cui ha istituito il memoriale della sua Pasqua, mediante il quale ci ha donato il suo Corpo e il suo Sangue. E questo gesto è giunto fino a noi: è il “fare” l’Eucaristia, che ha sempre Gesù come soggetto, ma si attua attraverso le nostre povere mani unte di Spirito Santo.
«Fate questo». Già in precedenza Gesù aveva chiesto ai discepoli di “fare”, quello che Lui aveva già chiaro nel suo animo, in obbedienza alla volontà del Padre. Lo abbiamo ascoltato stasera o lo ascolteremo domani nel Vangelo. Davanti alle folle stanche e affamate, Gesù dice ai discepoli: «Voi stessi date loro da mangiare» (Lc 9,13). In realtà, è Gesù che benedice e spezza i pani fino a saziare tutta quella gente, ma i cinque pani e i due pesci vengono offerti dai discepoli, e Gesù voleva proprio questo: che, invece di congedare la folla, loro mettessero a disposizione quel poco che avevano. E poi c’è un altro gesto: i pezzi di pane, spezzati dalle mani sante e venerabili del Signore, passano nelle povere mani dei discepoli, i quali li distribuiscono alla gente. Anche questo è “fare” con Gesù, è “dare da mangiare” insieme con Lui. E’ chiaro che questo miracolo non vuole soltanto saziare la fame di un giorno, ma è segno di ciò che Cristo intende compiere per la salvezza di tutta l’umanità donando la sua carne e il suo sangue (cfr Gv 6,48-58). E tuttavia bisogna sempre passare attraverso quei due piccoli gesti: offrire i pochi pani e pesci che abbiamo; ricevere il pane spezzato dalle mani di Gesù e distribuirlo a tutti. Fare e anche spezzare!
CANTO: Scegli me
Spezzare: questa è l’altra parola che spiega il senso del «fate questo in memoria di me». Gesù si è spezzato, si spezza per noi. E ci chiede di darci, di spezzarci per gli altri. Proprio questo “spezzare il pane” è diventato l’icona, il segno di riconoscimento di Cristo e dei cristiani. Ricordiamo Emmaus: lo riconobbero «nello spezzare il pane» (Lc 24,35). Ricordiamo la prima comunità di Gerusalemme: «Erano perseveranti […] nello spezzare il pane» (At 2,42). E’ l’Eucaristia, che diventa fin dall’inizio il centro e la forma della vita della Chiesa. Ma pensiamo anche a tutti i santi e le sante – famosi o anonimi – che hanno “spezzato” sé stessi, la propria vita, per “dare da mangiare” ai fratelli. Quante mamme, quanti papà, insieme con il pane quotidiano, tagliato sulla mensa di casa, hanno spezzato il loro cuore per far crescere i figli, e farli crescere bene! Quanti cristiani, come cittadini responsabili, hanno spezzato la propria vita per difendere la dignità di tutti, specialmente dei più poveri, emarginati e discriminati! Dove trovano la forza per fare tutto questo? Proprio nell’Eucaristia: nella potenza d’amore del Signore risorto, che anche oggi spezza il pane per noi e ripete: «Fate questo in memoria di me».
Possa anche il gesto della processione eucaristica, che abbiamo compiuto o compiremo domani, rispondere a questo mandato di Gesù. Un gesto per fare memoria di Lui; un gesto per dare da mangiare alla folla di oggi; un gesto per spezzare la nostra fede e la nostra vita come segno dell’amore di Cristo per questa città e per il mondo intero.”
Seguire Gesù durante la processione nella solennità del Corpus Domini significa rinnovare il nostro eccomi ad essere suoi docili e umili strumenti, sull’esempio della nostra Mamma Celeste: “Eccomi sono la serva del Signore”. Significa annunciare che nel seguire Gesù sta la felicità piena e duratura.
E come si fa a seguire Gesù?
San Giovanni nella sua prima lettera scrive: “Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli” (1 Gv 3,16). Siamo a chiamati, come dice Papa Francesco, a spezzarci per gli altri, a non mettere sempre al centro noi stessi, il nostro egoismo, la nostra superbia, ma ad essere sostegno e sprono per chi ci sta intorno come dice San Paolo, l’apostolo delle genti: “mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9,22).
Cominciamo subito, non aspettiamo domani.
Siamo chiamati a trasmettere ciò che a nostra volta abbiamo ricevuto: la presenza viva di Gesù. Stare con Gesù significa essere ripieni di gioia e pace, significa avere una forza particolare per sopportare le tribolazioni e possedere l’eternità beata, che è anche la meta a cui aneliamo!
Dal Catechismo della Chiesa Cattolica:
In un'antica preghiera, la Chiesa acclama il mistero dell'Eucaristia: «O sacro convito nel quale ci nutriamo di Cristo: si fa memoria della sua passione, l'anima è ricolmata di grazia e ci è donato il pegno della gloria futura». Se l'Eucaristia è il memoriale della pasqua del Signore, se mediante la nostra Comunione all'altare veniamo ricolmati «di ogni grazia e benedizione del cielo», l'Eucaristia è pure anticipazione della gloria del cielo.
Nell'ultima Cena il Signore stesso ha fatto volgere lo sguardo dei suoi discepoli verso il compimento della pasqua nel regno di Dio: « Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio » (Mt 26,29). 245 Ogni volta che la Chiesa celebra l'Eucaristia, ricorda questa promessa e il suo sguardo si volge verso « Colui che viene » (Ap 1,4). Nella preghiera, essa invoca la sua venuta: « Marana tha » (1 Cor 16,22), « Vieni, Signore Gesù » (Ap 22,20), « Venga la tua grazia e passi questo mondo! ».
La Chiesa sa che, fin d'ora, il Signore viene nella sua Eucaristia, e che egli è lì, in mezzo a noi. Tuttavia questa presenza è nascosta. È per questo che celebriamo l'Eucaristia «nell'attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo », chiedendo « di ritrovarci insieme a godere della tua gloria quando, asciugata ogni lacrima, i nostri occhi vedranno il tuo volto e noi saremo simili a te, e canteremo per sempre la tua lode, in Cristo, nostro Signore ».
Di questa grande speranza, quella dei nuovi cieli e della terra nuova nei quali abiterà la giustizia, non abbiamo pegno più sicuro, né segno più esplicito dell'Eucaristia. Ogni volta infatti che viene celebrato questo mistero, « si effettua l'opera della nostra redenzione » e noi spezziamo « l'unico pane, che è farmaco d'immortalità, antidoto per non morire, ma per vivere in Gesù Cristo per sempre ».
CANTO: Prenderemo il largo
È necessario il coraggio unito ad un profondo amore per Cristo e la Chiesa per poter portare un messaggio nuovo e diverso alla maggioranza delle persone nel mondo che non conoscono Dio. Sono necessari la conoscenza, l’intuizione e il metodo che non sono innati nell’uomo ma che si possono solo acquisire con il tempo, la costanza e la ricerca. Soprattutto è necessario svuotarsi si se per essere rivestiti di una nuova luce, essere rivestiti di Dio per incontrare gli altri.
Tutto è acquisibile se il nostro cuore è libero e immerso nel Tuo mistero. Ispiraci o Gesù, primo uomo libero da ogni legame con questo mondo ma profondamente connesso con l’uomo, la via per giungere alla sapienza e soprattutto al cuore Tuo, cosicché possiamo poi dire con la nostra vita quanto ci hai amati. Ma come fare a uscire da noi stessi per essere ricoperti di Te? Come fare per immergerci nel tuo amore? Come fare a spezzarci e servire chi incontriamo? Serve un incontro a tu per tu.
Tratto dall’omelia del card. Tarcisio Bertone (concelebrazione eucaristica per gli studenti di teologia partecipanti al corso promosso dall’ufficio nazionale della CEI per i problemi sociali e il lavoro)
[…] L'Eucaristia, come ci ricorda il Santo Padre Benedetto XVI nell'Esortazione apostolica postsinodale Sacramentum Caritatis "è il mirabile Sacramento nel quale si manifesta l'amore "più grande", quello che spinge "a dare la vita per i propri amici"" (n. 1) e che diventa ogni giorno per noi credenti il fulcro della nostra esistenza e della nostra attività. Dall'Eucaristia ognuno di noi può trarre quella luce interiore e quella forza del cuore indispensabili per compiere la volontà di Dio e servirlo fedelmente nelle varie mansioni che la Provvidenza ci affida. Solo dall'Eucaristia potete attingere la sapienza del cuore che vi permetta di crescer nell'amore per essere domani testimoni di speranza e servitori del Vangelo come lo furono gli insigni maestri di vita e di santità.
Innanzitutto san Benedetto abate. Il padre del monachesimo d'Occidente, del quale san Gregorio Magno descrive la vita e l'opera nei suoi Dialoghi, lasciò il "mondo" di Roma per ritirarsi presso Subiaco dove vivendo in una grotta maturò esperienze di vita eremitica. In seguito fondò diversi monasteri dando inizio ad una nuova e fiorente famiglia cenobitica. La celebre Regola di san Benedetto armonizza l'esperienza ascetica orientale, la saggezza romana con lo spirito del Vangelo. Benedetto concepiva il monastero come il luogo dove si realizza in pienezza, per quanto possibile sulla terra, il regno dei cieli. I monaci, secondo la sua intuizione, sono uomini liberamente sottomessi alla "scuola del servizio divino" sotto la guida saggia e paterna dell'abate che deve avere dalla sua parte una lunga e profonda esperienza di cose divine e umane. Nel monastero il tempo si divideva così sapientemente tra la preghiera e il lavoro, ed i successori di san Benedetto coniarono l'espressione divenuta famosa: "ora et labora". Per il monaco, il libro dello studioso o del copista, la forgia del fabbro o la vanga del contadino erano altrettanti strumenti da consacrare al servizio divino. […]Abbiamo chiesto a Dio, che ha costituito san Benedetto maestro di coloro che dedicano la vita al suo servizio, di concedere "anche a noi di non anteporre nulla all'amore del Cristo". Questo, in definitiva, è l'insegnamento che vogliamo raccogliere anche oggi dal grande Abate compatrono d'Europa. Non anteporre nulla all'amore del Cristo fu il segreto della sua vita e della sua missione. Solo restando uniti a Cristo come i tralci alla vite - possiamo portare molto frutto e diventare discepoli del Signore (cfr Gv 15, 8).
Alla figura di san Benedetto si affianca quella di un altro grande personaggio che ha segnato la storia della Chiesa. La sua testimonianza risplende luminosa per tutti noi: è il gesuita Matteo Ricci. Di fronte alle nuove sfide con le quali l'evangelizzazione si confronta in questo nostro tempo caratterizzato dalla globalizzazione e dalla compresenza di molteplici etnie e religioni, egli costituisce un singolare modello di evangelizzazione e di dialogo con le diverse realtà culturali e religiose. Studioso appassionato dell'Oriente, illustre scienziato e generoso missionario della fede cristiana, Padre Matteo Ricci vide la luce a Macerata nel 1552, quattro anni prima della morte di s. Ignazio di Loyola, di cui diventerà in seguito fedele discepolo entrando nella Compagnia di Gesù. Matteo Ricci viene comunemente considerato il simbolo del primo contatto della Cina con le scienze e la tecnologia europea, del primo incontro del Vangelo con gli intellettuali della razza Han, come pure dei primi scambi tra la cultura cinese e quella dell'Occidente. Cresciuto fin dall'età di nove anni alla scuola dei Gesuiti nel loro Collegio di Macerata, fin dalla adolescenza si dissetò alla sorgente ignaziana, alimentando nel suo cuore il desiderio di conoscere nuove terre da scoprire e nuovi popoli da condurre a Cristo. Per questo, non ancora sacerdote, fu pronto ad accogliere l'invito di partire per l'Oriente, insieme ad altri confratelli, sostenuti dalla benedizione del Papa Gregorio XIII.
Matteo Ricci e la Cina formano un binomio indissolubile da quando, il 24 gennaio 1601, dopo molteplici e complessi tentativi anche a rischio della sua stessa vita, questo ardimentoso gesuita entrò a Pechino, sede dell'Imperatore Wan-li. Trascorse in Cina quasi 28 anni conducendo un attento studio della lingua, della storia e della cultura cinesi, attraverso il quale mostrò profondo rispetto per quel grande popolo. Come si legge nella sua biografia, egli prese dapprima le vesti e le sembianze dei bonzi, in seguito quelle dei letterati e dei mandarini. Sempre più, inoltre, nutriva la convinzione che la diffusione del cristianesimo in Cina avesse bisogno dell'approvazione ufficiale per i predicatori e la libertà per i cinesi di abbracciarla e professarla pubblicamente, ed era fermamente persuaso che tale approvazione e libertà non potessero ottenersi fino a quando egli non fosse arrivato fino alla corte di Pechino, al Palazzo imperiale dove effettivamente venne accolto non come "curioso straniero" ma come un rispettato dottore.
Come non rendere lode al Signore per le geniali intuizioni di questo grande studioso e coraggioso missionario che seppe lasciarsi guidare dalle ispirazioni dello Spirito Santo? Mano a mano infatti che progrediva nello studio della lingua, con prudenza si pose a correggere le credenze astronomiche dei cinesi e le loro cognizioni geografiche, poiché, come egli stesso si esprimeva, "non si poteva in quei tempi trovare cosa più utile a disporre gli animi dei cinesi alla nostra religione di questa". Perciò mentre professava una schietta ammirazione per la Cina, faceva intravedere ai cinesi che c'era ancora qualcosa che essi non conoscevano e che egli poteva insegnare loro. Compose libri di scienze e di religione; tra i lavori scientifici di maggiore pregio vorrei qui citare il grande Mappamondo cinese, dove, accanto ai nomi delle principali località, il Ricci annotava notizie storiche. Per esempio, vicino al nome "Giudea" si legge: "Il Signore del Cielo s'è incarnato in questo Paese, perciò si chiama Terra Santa". Vicino al nome "Italia": "Qui il Re della Civiltà (= il Papa), nel celibato, si occupa unicamente di religione. Egli è venerato da tutti i sudditi degli Stati d'Europa, che formano il romano impero". E bastò questa breve notizia sul Papa a comunicare ai cinesi un'alta idea del pontificato romano. Oltre a far conoscere la religione cattolica ai cinesi, il Mappamondo serviva anche a cancellare dalla loro mente il pregiudizio, secondo il quale tutti quelli che non erano cinesi erano da considerarsi "barbari".
Ecco, in pochi tratti, delineato quello che potremmo considerare il metodo di Matteo Ricci: un profondo rispetto delle tradizioni che incontrava, ma al tempo stesso inalterata fedeltà nel trasmettere la Verità che è Cristo e la dottrina cattolica.
Un metodo che resta valido ancor oggi e che ci auguriamo - per questo preghiamo - possa portare frutti di vasto rinnovamento nella Chiesa e di generosa apertura missionaria. "Nel parlare del Vangelo - ha scritto Giovanni Paolo II nel suo messaggio per il IV centenario del suo arrivo in Cina, il 25 ottobre 1982 - Matteo Ricci seppe trovare il modo culturale appropriato a chi lo ascoltava. Iniziava con la discussione dei temi cari al popolo cinese, cioè la moralità e le regole del vivere sociale, secondo la tradizione confuciana. Quindi introduceva, in modo discreto ed indiretto, il punto di vista cristiano dei vari problemi e così, senza volersi imporre finiva col portare molti ascoltatori alla conoscenza esplicita e al culto autentico di Dio, Sommo Bene".
Aggiunge però subito il Papa: "l'inculturazione compiuta da padre Matteo Ricci non ebbe luogo soltanto nell'ambito dei concetti e del lavoro missionario, ma anche della testimonianza personale di vita. Occorre innanzitutto mettere in evidenza la sua vita religiosa esemplare, che contribuì in maniera determinante a far apprezzare la sua dottrina presso quanti lo frequentavano". Come i Padri della Chiesa, anche Matteo Ricci era convinto, nota ancora il messaggio papale, che la fede cristiana non solo non avrebbe recato danno alla cultura cinese, ma l'avrebbe piuttosto arricchita e perfezionata e non è ardito pensare che questo coraggioso missionario gesuita "debba aver sentito la grandezza dell'impresa non meno di come la sentirono il filosofo e martire san Giustino, Clemente di Alessandria ed Origene nel loro sforzo di tradurre il messaggio della fede in termini comprensibili alla cultura del tempo".
Il segreto del successo dell’apostolato, dovunque Iddio ci chiami ad operare, non sta in primo luogo nelle tecniche pastorali, nella scienza e nelle nostre doti di natura o acquisite con sforzo costante. Il vero segreto è lasciare che Cristo sia al primo posto nella nostra vita, sempre. Per questo dobbiamo "camminare nelle vie del Signore" e trovare grande gioia nei suoi comandamenti. Nel Vangelo è Gesù stesso ad esortarci a rimanere in Lui ricordandoci: "senza di me non potete fare nulla".
CANTO: Padre e Madre
Cosa ha spinto Padre Mattero Ricci, san Benedetto e molti altri a testimoniare Cristo? Perché una persona sceglie di vivere per Lui? Cosa c’è dietro ad una scelta che va controcorrente rispetto a tutti i canoni attuali? È l’amore così profondo, di cui noi non riusciamo a comprenderne il mistero né la natura nascosti dentro un pane bianco che ogni giorno viene spezzato migliaia e migliaia di volte.
Ma non lo vogliamo riconoscere.
L’affievolirsi della fede nella Presenza Reale di Cristo Risorto nell'Eucaristia è uno degli aspetti più significativi della corrente crisi spirituale.
Gesù vuole rafforzare la nostra fede nella Sua Presenza Eucaristica. È per questo che, di volta in volta, nella storia della Chiesa Cattolica Egli ci dà dei segni-miracoli eucaristici che sottolineano chiaramente il fatto che Egli, lo stesso Signore Risorto nel mistero della Sua divinità e della Sua umanità glorificata, è realmente presente nell’Eucaristia.
Il più recente miracolo eucaristico riconosciuto dalle autorità della Chiesa si è verificato nel 1996 nella capitale dell’Argentina, Buenos Aires.
Un’Ostia consacrata diventa carne e sangue
Alle 7 di sera il 18 agosto del 1996, padre Alejandro Pezet stava celebrando la Santa Messa in una chiesa cattolica nel centro commerciale di Buenos Aires. Mentre stava finendo di distribuire la Santa Comunione, si avvicinò una donna per dirgli che aveva trovato un’ostia su un candelabro sul retro della chiesa.
Recatosi sul posto indicato, padre Alejandro vide l’Ostia profanata. Dal momento che non poteva consumarla, la mise in un contenitore con dell’acqua che ripose nel tabernacolo, della cappella del Santissimo Sacramento.
Lunedì, 26 agosto, all’apertura del tabernacolo, vide con stupore che l’Ostia si era trasformata in una sostanza sanguinolenta. Informò quindi il cardinale Jorge Bergoglio, che diede istruzioni perché l’ostia fosse fotografata da un professionista.
Le foto furono scattate il 6 settembre. Essi mostrarono chiaramente che l’Ostia era diventata un frammento di carne insanguinata ed era cresciuta di dimensioni in modo significativo.
Per diversi anni l’Ostia rimase nel tabernacolo e su tutta la vicenda fu mantenuto un rigoroso segreto. Dal momento che l’ostia non subiva alcuna visibile decomposizione, il cardinale Bergoglio decise che fosse analizzata scientificamente.
Il 5 ottobre 1999, alla presenza dei rappresentanti del cardinale, il Dott. Castañon prelevò un campione del frammento insanguinato e lo inviò a New York per l’analisi. Per non pregiudicare l’esame, egli decise di non informare il gruppo di scienziati della provenienza del campione.
Uno di questi scienziati era il dottor Frederic Zugibe, ben noto cardiologo e medico legale. Questi stabilì che la sostanza analizzata era realmente carne e sangue contenente DNA umano.
Zugibe testimoniò che
“il materiale analizzato è un frammento di muscolo cardiaco della parete del ventricolo sinistro in prossimità delle valvole. Questo muscolo è responsabile della contrazione del cuore. Si tenga presente che il ventricolo cardiaco sinistro pompa sangue a tutte le parti del corpo. Il muscolo cardiaco è infiammato e contiene un gran numero di globuli bianchi. Questo indica che il cuore era vivente al momento del prelievo del campione. La mia tesi è che il cuore era vivo, visto che i globuli bianchi muoiono al di fuori di un organismo vivente. Hanno bisogno di un organismo vivente, per sostenersi. Così, la loro presenza indica che il cuore era vivo quando è stato prelevato il campione. Per di più, questi globuli bianchi avevano penetrato il tessuto, il che indica inoltre che il cuore era stato sottoposto ad un forte stress, come se il suo possessore fosse stato picchiato duramente sul petto.”
Due australiani, il giornalista Mike Willesee e l’avvocato Ron Tesoriero, assistettero a questi esami. Sapendo da dove proveniva il campione, rimasero sbalorditi dalla testimonianza del Dott. Zugibe.
Mike Willesee chiese allo scienziato quanto tempo i globuli bianchi potrebbero rimanere in vita, se fossero derivati da una parte di tessuto umano che era stato tenuto in acqua. E il Dott. Zugibe rispose subito che avrebbero cessato di esistere in una manciata di minuti.
A quel punto, il giornalista spiegò al medico che il campione proveniva da una sostanza che era stata tenuta per un mese in acqua normale e successivamente, per altri tre anni, in un contenitore di acqua distillata; solo allora era stato prelevato il campione per l’analisi. Il Dott. Zugibe rispose che non era in grado di dar conto di un fatto del genere: non c’era modo di spiegarlo scientificamente.
Fu a quel punto che Mike Willesee informò il Dott. Zugibe che il campione analizzato proveniva da un’Ostia consacrata (pane bianco azzimo), che si era misteriosamente trasformata in carne umana sanguinante.
Stupito da questa informazione, il Dott. Zugibe rispose:
“Come e perché un’Ostia consacrata avrebbe cambiato la sua sostanza e sarebbe diventata carne e sangue umani viventi, rimarrà un mistero inspiegabile per la scienza, un mistero totalmente al di là delle sue competenze.”
Solo la fede nella straordinaria azione di un Dio fornisce la risposta ragionevole; fede in un Dio che vuole renderci consapevoli che Egli è realmente presente nel mistero dell’Eucaristia.
Il Miracolo Eucaristico di Buenos Aires è un segno straordinario attestato dalla scienza. Attraverso di essa Gesù desidera suscitare in noi una viva fede nella Sua Presenza Reale nell’Eucaristia. Egli ci ricorda che la Sua Presenza è reale e non simbolica. Solo con gli occhi della fede Lo vediamo sotto le apparenze del pane e del vino consacrati. Non lo vediamo con gli occhi del corpo perché Egli è presente con la sua umanità glorificata. Nell’Eucaristia Gesù ci vede, ci ama e desidera salvarci.
Attraverso tali segni mirabili, Dio chiama le anime alla conversione. Se Gesù provoca la trasformazione dell’Ostia in carne e sangue visibili, e fa sì che un muscolo responsabile della contrazione di un cuore umano, un cuore che ha sofferto come quello di qualcuno che è stato picchiato duramente sul petto, se Egli opera tali cose, è al fine di suscitare e di accrescere la nostra fede nella Sua Presenza Reale nell’Eucaristia. In tal modo Egli ci permette di vedere che la Santa Messa è una ri-attualizzazione dell’intero dramma della nostra salvezza: la passione, la morte e la risurrezione di Cristo.
L’Eucaristia, la Presenza attuale della persona risorta di Gesù sotto le specie del pane e del vino, è una delle verità più importanti e più difficili rivelateci da Cristo. I miracoli eucaristici sono semplicemente delle conferme visibili di ciò che Egli ci dice di Se stesso: cioè che Egli ha ci dà realmente il Suo Corpo e il Suo Sangue glorificati come cibo e bevanda spirituali.
Nell’affrontare il mistero dell’Eucaristia, la ragione umana sente la sua impotenza e le sue limitazioni. Nella sua enciclica dedicata a questo sacramento, Giovanni Paolo II scrive: “Non vedere – esorta san Cirillo di Gerusalemme – nel pane e nel vino dei semplici e naturali elementi, perché il Signore ha detto espressamente che sono il suo corpo e il suo sangue: la fede te lo assicura, benché i sensi ti suggeriscano altro”» (Ecclesia de Eucharistia, 15).
Aprici gli occhi della fede Signore, aprici il cuore per comprendere la grandezza di questo mistero così insondabile e profondo. Il Tuo amore può tutto. Guarisci, risana, purifica queste nostre membra che cercano il mondo anziché Te. Muta i nostri cuori aridi, in cuori rigogliosi. Vieni e riempi la nostra vita della Tua pace, della Tua bontà, della Tua luce. Non permettere di perderci nella prova ma permettila affinchè la nostra condizione umana muoia a se stessa per dare spazio solo alla Tua chiamata e la Tua volontà. Grazie Gesù perché Tu hai già operato.
Canto: Siamo Tuoi
Conclusione