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Il cardinale Sepe:
«L’altra Napoli ce la può fare»
 Napoli ha ferite non solo profonde ma – suo malgrado – purtroppo anche esposte allo sguardo dell’opinione pubblica assai più di quanto accada ad altre grandi e travagliate aree metropolitane. Ma per quanto seri siano gli sfregi al volto antico di questa città magnifica e bistrattata, più grandi – a chi le sa scorgere – appaiono le risorse di bene sulle quali può ancora contare. Oggi più di prima.

Ne sa qualcosa il cardinale Crescenzio Sepe, che da un anno sta mappando il tessuto urbano e sociale, culturale e umano della sua Napoli, dopo averla sorpresa indicendo esattamente un anno fa un Giubileo per la città e la sua gente. Giubileo che oggi si chiude. E che merita uno sguardo su questi mesi trascorsi ad ascoltarne da vicino il grande cuore.

Eminenza, che bilancio si sente di fare, a caldo, del Giubileo per Napoli?
«Quando un anno fa, dinanzi a una Napoli offesa, avvilita, sofferente e quasi agonizzante, abbiamo pensato di indire un Giubileo per la città, rivolgendo un accorato appello a tutti, a partire dagli uomini di buona volontà, in effetti abbiamo lanciato una sfida a noi stessi, come Chiesa locale, in termini di capacità di sensibilizzazione, di mobilitazione, di coinvolgimento e anche di credibilità. Certo, la Chiesa non era un corpo estraneo alla città, tutt’altro! Veniva vista come un punto di riferimento e di ancoraggio. Ma i dubbi e preoccupazioni nascevano più che altro dal diffuso clima di smarrimento e di sfiducia a causa della difficile realtà e della mancanza di prospettive».

Cosa l’ha più colpita in questo anno di incontri e di gesti?
«Quando abbiamo detto "aprite le porte a Cristo", "non fatevi rubare la speranza", "facciamo sinergia perché insieme si vince", la chiamata della Chiesa è stata accolta con entusiasmo, la risposta non si è fatta attendere, la gente ci ha creduto e ci ha seguiti. Si è fatto quasi a gara tra persone, organizzazioni, istituzioni culturali e forze sociali, nella condivisione dello spirito del Giubileo e nel proporsi o proporre iniziative concrete per il bene comune. Ci sono stati tantissimi eventi di varia natura e in numerosi settori. Molti sono usciti dal privato e dalla sfera dei propri interessi, per mettersi in discussione, lavorare con altri su progetti e iniziative, mettere a disposizione energie, risorse, patrimonio di conoscenze e di idee, per favorire la crescita generale e offrire opportunità ai giovani. Tutto questo mi ha colpito profondamente e, in particolare, il grande entusiasmo che si coglieva ogni giorno, in ogni luogo, in ogni incontro. Con l’aiuto di Dio, siamo riusciti a mettere insieme mondi lontani, soggetti che erano in competizione tra loro, persone che prima si ignoravano. E non si sono fatti attendere, per questo, risultati non solo incoraggianti ma anche concreti. Penso alle borse di studio per giovani universitari meritevoli ma poveri; all’avvio di circa 100 giovani a corsi formativi per l’accesso alle attività marittime; alla nascita della Cittadella dell’Artigianato, in grandi capannoni di proprietà della Diocesi, per riportare giovani agli antichi e nobili mestieri; all’offerta di terreni della Diocesi per avvicinare i giovani al mondo rurale, dedicandosi a un’agricoltura di qualità o ad attività ricettive e di ristoro; all’impegno a operare insieme sul piano della solidarietà e nella costruzione di condizioni di giustizia e pace, sottoscritto pubblicamente dai capi di tutte le denominazioni religiose, anche non cristiane, presenti nel territorio. Napoli ha mostrato un nuovo volto di sé, che conoscevamo ma che era velato dalla tristezza e dalla delusione. La stessa Chiesa di Napoli ha assunto una più forte dimensione, per cui essa oggi è più ricca di umanità, di credibilità, di identità».

Come è stata accolta la sua offerta di un dialogo e di un confronto dalle diverse componenti della città?
«Senza pregiudizi, senza diffidenze e riserve, anzi, con slancio, disponibilità e piena fiducia. Abbiamo interloquito con tutti: laici, laicisti, cattolici, agnostici, atei, fedeli di altre confessioni religiose. Con tutti si è creato un clima di grande intesa e familiarità. Abbiamo manifestato il nostro intendimento di mettere a disposizione della città, attraverso la concessione gratuita in comodato d’uso, numerose chiese chiuse invitando istituzioni, enti e associazioni a presentare idee progettuali per il loro utilizzo a fini culturali, artistici, sociali. Circa 200 sono state le domande presentate a seguito di un bando internazionale. Sono già state assegnate le prime chiese, mentre abbiamo avuto la gioia di vedere riaperta una chiesa dopo 67 anni. Tutti si sono lasciati coinvolgere e hanno voluto attivarsi, nello spirito del Giubileo, esprimendo la volontà di andare oltre il percorso giubilare di quest’anno».

Quale aspetto di Napoli le sembra più chiaramente emerso grazie al Giubileo?
«Resta in me la consapevolezza profonda delle grandi risorse, delle spiccate capacità, della forte genialità, delle innumerevoli eccellenze che la città può vantare, e che evidenziano e motivano il deciso impegno a lavorare in sinergia, insieme alla grande voglia di cambiamento e di crescita sociale, civile ed economica, per restituire a Napoli la sua storica immagine e il suo ruolo nel panorama internazionale».

Spesso di Napoli si parla per vicende che poco concedono all’ottimismo. Quali segnali di speranza ha colto, invece, dentro la città?
«Purtroppo, per una inesorabile logica di mercato che attraversa tutto il sistema mediatico, viene proposta all’opinione pubblica internazionale un’immagine di Napoli costruita attraverso la cronaca di episodi negativi e preoccupanti, che sono veri ma che non sono esclusivi e prevalenti e che, peraltro, non sono diversi da quelli che pure si registrano in altre città e capitali del mondo. Restano invece nell’ombra aspetti fortemente positivi e significativi che caratterizzano Napoli e il suo popolo, che onorano la città e ne costituiscono la vera, grande forza e speranza. Intendo parlare delle non poche eccellenze nel mondo della cultura e della ricerca, delle professioni e dell’imprenditoria, delle arti, dei mestieri. Ma in questo cantiere di futuro trovano posto, a pieno titolo, i giovani, con la loro vivace intelligenza, con tanta voglia di realizzare la modernizzazione della città ed essere protagonisti del cambiamento».

Di cosa ha più bisogno Napoli oggi?
«Di essere capita e amata. Ha bisogno, per questo, anche di una stampa non di parte ma rispettosa. Ha bisogno di essere aiutata a far emergere le grandi positività che ci sono. Ha bisogno di una classe dirigente che esca dalla routine della gestione quotidiana e sappia volare alto, come si conviene a una grande città che ha tante pagine di storia ancora da scrivere».

Quale messaggio manda la recente iniziativa di istituire il registro comunale delle coppie di fatto?
«È l’immagine di un laicismo che la stragrande maggioranza della popolazione non sente e non condivide. È espressione di un’errata interpretazione della modernità e di un’esigenza umana che non può trovare risposta in un arido esercizio burocratico, ma che va affrontata compiutamente e con rispetto di tutti per trovare soluzioni che sappiano fare salva la dignità dell’uomo e valutarne i diversi orientamenti alla luce della legge naturale e della legge divina. Ho ritenuto doveroso evidenziare che ben altre sono le priorità della città: mi sarei aspettato scelte coraggiose per risolvere definitivamente l’annosa questione dei rifiuti urbani, per creare opportunità di lavoro a favore dei giovani e dei padri di famiglia, per incidere in maniera positiva sulla qualità della vita...».

La Chiesa si spende, anche e forse soprattutto a Napoli, per educare: quali virtù – cristiane e civiche – le sembrano più necessarie?
«Bisogna riportare tutti alla pratica dei valori morali ed etici, senza i quali non c’è futuro "vivibile", perché non c’è osservanza della legge, non c’è senso di responsabilità, non c’è rispetto degli altri, non c’è libertà, non c’è convivenza civile, non c’è giustizia. In questa direzione va l’impegno della Chiesa di Napoli, e in questo stesso alveo si è posto il Giubileo».

È inevitabile chiederle, eminenza, anche una parola su un tema che ha consegnato per mesi Napoli alle cronache del Paese e non solo: l’emergenza-spazzatura. Alla Chiesa ovviamente non competono soluzioni tecniche: ma in forza di quali princìpi si risolve una situazione che pare senza uscita?
«Su questo tema così delicato, complesso e dannoso per l’immagine di Napoli, la Chiesa locale è stata vigile, collaborativa, e non ha mancato di far sentire in maniera anche forte la sua voce anche con una veglia in Cattedrale e in altre chiese della diocesi, per gridare allo scandalo della mancata rimozione e distruzione dei rifiuti urbani, all’intromissione nel sistema della malavita truffaldina e lucrativa, per richiamare la politica alle sue responsabilità, per evidenziare l’urgenza di soluzioni radicali e strutturali. Sia ben chiaro che non siamo in presenza di una situazione senza via d’uscita, come dimostra quanto già è avvenuto ed è stato fatto in altre città italiane e straniere. Piuttosto, occorre rilevare che qui si è lasciato incancrenire il problema, forse per negligenza, forse per incapacità, forse e soprattutto per il prevalere degli egoismi e dei municipalismi e, quindi, delle convenienze politiche ed elettorali, in ragione dell’appartenenza e dei consensi da conquistare o da perdere. Ma ormai siamo a un punto di non ritorno, le soluzioni definitive vanno decise e concordate nel rispetto della dignità della vita dell’uomo, della salute dei cittadini, dell’interesse generale e del bene comune. Nessuno, infatti, può giocare o trastullarsi sulla pelle degli altri».

Arresti importanti hanno falcidiato la criminalità organizzata: Napoli può battere la camorra?
«Napoli lo sta già facendo, grazie al lavoro intelligente e tenace delle forze dell’ordine e della magistratura, e grazie a una cultura dell’anticamorra che si va diffondendo concretamente per il coraggioso esempio di alcuni che hanno reagito alle imposizioni malavitose, per l’impegno encomiabile di associazioni e organizzazioni che si battono contro ogni forma di violenza e di prepotenza, per l’azione costante che vanno svolgendo grandi agenzie educative come la Chiesa e la scuola. Non ci sono tentennamenti. Ho sempre condannato la camorra come colpa grave e ho chiesto ai sacerdoti di non amministrare i sacramenti ai camorristi notori e non pentiti. Io stesso, in occasione di un’incursione malavitosa ai danni di un cantiere aperto per la costruzione di una chiesa parrocchiale in un quartiere molto delicato, ho elevato con forza la mia voce di condanna e di sfida, andando a celebrare nel cantiere – la gente è venuta senza paura – e dicendo ai delinquenti responsabili che non c’è tolleranza per i loro soprusi, invitandoli a venire in Episcopio se avessero avuto qualcosa da dire o da chiedere. Ovviamente il cantiere sta andando avanti e nulla è successo. Certo, serve anche altro: occorre che vengano create e offerte opportunità per le quali i giovani o i padri di famiglia possano essere sottratti alle lusinghe dei camorristi e, quindi, la camorra possa restare senza manovalanza e nuove adesioni».

Eminenza, che parola dice il Vangelo oggi a Napoli?
«Amatevi gli uni gli altri, come Io ho amato voi».

 

Da l'Avvenire

COMUNITA'

FIGLI DEL SACRO CUORE DI GESU'

EVENTO IMPORTANTE

11.06.2017

http://figlidelsacrocuore.it/

PRIMI VOTI PRONUNCIATI DA GLORIA MEDEI

PER ENTRARE NELLA COMUNITA' DEI CONSACRATI

FIGLI E FIGLIE DEL SACRO CUORE DI GESU'.

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